CASTELLO FORMENTINI
I FORMENTINI
Co., m, D.M. di ricon. 24 giu. 1941. La famiglia ha diritto anche ai seguenti titoli, predicati e trattamenti nobiliari, non iscritti nel Libro d'Oro della Nobiltà Italiana ma compresi nelle Matricole Araldiche ed Elenchi Austriaci: Nob. del S.R.I., mf (1357), Bar. del S.R.I., mf, pred. di Tolmino e Biglia (1623), Co. (Rep. di Venezia), m, (1718), Co., pred. di Cusano, mpr, (1774), Co., mf, pred. di Musmezzi (1881), Patr. di Gorizia, m, Patr. della Carniola, m, Sign. di San Floriano, mpr. I Formentini discendono dalla potente casa feudale dei Platoni, originari della Val di Taro in Emilia.
Plato, figlio di Facinio conte d'Angheria, probabilmente un condottiero ungaro chiamato in Italia da Berengario II, fu il capostipite dei Platoni, che presero nome dal castello di Platono. Di Plato si è conservato il testamento, del 1022, con cui istituisce eredi del suo vasto patrimonio i numerosi figli.
Uno di questi, Porcario, ricevette ampi possedimenti nel Milanese e diede origine alla famiglia dei Porcari, che successivamente si legò al partito guelfo dei Torriani, nel Duecento signori di Milano. Allorchè i Torriani persero la supremazia nella lotta contro i Visconti, Formentino Porcari di Alzate seguì Raimondo della Torre in Friuli, dove quest'ultimo divenne, nel 1275, patriarca di Aquileia. Nel 1299, alla morte del patriarca Raimondo, Formentino fu inviato a comandare le truppe cremonesi che accompagnarono l'ingresso del nuovo patriarca Pietro Gera. Il figlio di Formentino, Simone, fu l'ultimo ad usare il cognome Porcari, assumendo il nome paterno come cognome. Si era stabilito nella fiorente città di Cividale, dove aveva costruito un sontuoso Palazzo accanto alla porta Brossana, ancor oggi riconoscibile per una serie di eleganti bifore romaniche.
I figli di Simone, Giovanni, Nicolò e Leonardo, ottennero estesi possedimenti feudali nelle Valli del Natisone, intrattenendo vivaci scambi culturali e commerciali con la vicina Carniola. Nel 1357 l'imperatore Carlo IV, su proposta del proprio fratellastro Nicolò allora patriarca di Aquileia, confermò ai fratelli Formentini l'antica nobiltà designandoli nobili del Sacro Romano Impero. Il diploma, firmato a Melnick nel 1357, è tuttora conservato nell'archivio di famiglia. A questo periodo risale il nuovo stemma dei Formentini: l'antica arma parlante dei Porcari, raffigurante un cinghiale stolato d'argento in campo d'argento, venne modificata e divenne partita, al primo d'argento tre cinghiali uno sopra l'altro, quello di mezzo stolato d'argento, al secondo di rosso alla fascia d'argento.
La tradizione vuole che i tre cinghiali rappresentino i tre fratelli porcari cui fu confermata la nobiltà legata al nuovo cognome Formentini, mentre il campo rosso fasciato d'argento sono i colori del patriarcato di Aquileia e della città di Cividale. I Formentini in Friuli si divisero in numerosi rami. Da Leonardo discesero diverse diramazioni che rimasero perlopiù a Cividale, mentre Nicolò acquistò il castello feudale di Cusano nel Pordenonese, che valse alla sua famiglia il privilegio di far parte della nobiltà parlamentare del Friuli. Nel trecento i Formentini entrarono a far parte del consortium nobile del castello di Tolmino, residenza estiva dei patriarchi che ospitò Dante Alighieri.
Dal castello di Tolmino i Formentini trassero il primo e il più antico predicato nobiliare. Nel Quattrocento Adamo, pronipote di Nicolò e miles auratus di investitura imperiale, è ricordato come personaggio colto e raffinato, ricchissimo ma eccessivamente prodigo. Sua moglie Giacoma dei conti di Porcia era nipote del duca Azzo d'Este. Da due dei suoi figli ebbero origine diversi rami della famiglia. Girolamo propagò la sua famiglia a Cividale, dove visse Poliotto (1603-1719), uomo politico e di cultura che raccolse diversi codici medioevali.
Lodovico Giuseppe (1655-1719), politico al servizio della Repubblica di San Marco, ottenne nel 1718 il ripristino dell'antico titolo di conte, derivato dalla famiglia Platoni ed esteso a tutti i rami della famiglia. La linea primogenita di Cividale, che aveva espresso notevoli figure di condottieri, si estinse ad Aiello del Friuli alla fine dell'Ottocento. La linea secondogenita di questo ramo si trasferì nel Settecento da Tolmino a Graz, dove si estinse nei primi anni del Novecento. Dall'altro figlio di Adamo, Felice, discesero altri due rami della famiglia: dei suoi figli Vinciguerra fondò il ramo che nel 1634 ricevette in eredità dai baroni di Dornberg il castello di San Floriano nel Collio goriziano, mentre Felice fondò il ramo di Gorizia. Al ramo di San Floriano appartennero diversi condottieri, alcuni caduti nelle guerre contro i turchi, ed alcuni ecclesiastici. Si estinse alla fine del Settecento.
Il ramo derivato da Felice, l'unico attualmente fiorente, si stabilì verso la metà del Cinquecento nella contea di Gorizia. I nipoti di Felice, Leonardo e Francesco, furono accolti nell'Ordine Teutonico. Leonardo (1535 circa-1596) seppe conciliare doti spirituali e pratiche, come uomo di vasta e raffinata cultura umanistica, esoterica e segnata nell'età giovanile dall'esperienza della riforma luterana, ma anche come condottiero nelle guerre contro i turchi e costruttore di edifici sacri e civili per l'Ordine Teutonico, di cui era commendatore a Lubiana. I suoi nipoti Gaspare e Carlo, quest'ultimo comandante delle milizie goriziane nelle guerre contro i veneziani, accrebbero notevolmente il patrimonio famigliare, acquistando i feudi di Biglia e Vosizza nel goriziano.
Nel 1623 l'imperatore Ferdinando II concesse ai figli di Carlo il titolo di baroni del Sacro Romano Impero con i predicati di Tolmino e Biglia. Verso la fine del Seicento i fratelli Lodovico e Ferdinando, il primo nella vita politica come inviato alla corte di Vienna e il secondo come sacerdote, dimostrarono rara sensibilità e giustizia nella gestione di affari legati agli scontri fra le classi signorili e popolari e gli arricchiti di recente promozione sociale. Il figlio di Lodovico, Francesco Ignazio (1698-1779), fu generale dell'armata imperiale e sposò la contessa Marianna Scotti di Piacenza. Suo figlio Paolo Emilio (1737-1803) sposò la baronessa Lodovica Rassauer, ereditiera di quest'antica famiglia goriziana.
Nel 1774, all'estinzione del ramo dei Formentini di Cusano, prese possesso di quest'antico castello e venne ascritto all'Aureo Libro dei Titolati della Repubblica di Venezia con il titolo di conte di Cusano. Con il figlio di Paolo Emilio, Francesco Ignazio (1780-1849), sposato con Gioseffa Grayer, il ramo di Gorizia conobbe un momento di declino. Parte della discendenza rimase nel Pordenonese, dove il castello di Cusano era ormai andato in rovina, mentre il primogenito Michele (1805-1841), grazie all'intervento di alcuni generosi parenti, riprese possesso dei beni goriziani, assieme al castello di San Floriano ereditato dal ramo ormai estinto che lo aveva posseduto per due secoli.
Giudice ed avvocato, morì prematuramente, lasciando il patrimonio al figlio Giuseppe Floriano (1832-1894). Storico, scrittore e politico, Giuseppe Floriano restaurò il castello di San Floriano e costruì una sontuosa villa a Gorizia. Nel 1857 ebbe dall'imperatore Francesco Giuseppe conferma del titolo di conte veneto, connesso nel 1881 con il predicato di Musmezzi. Dal matrimonio con Ernestina dei conti Claricini-Dornpacher ebbe quattordici figli, di cui quattro ufficiali dell'esercito austroungarico. Il primogenito Paolo Emilio (1871-1914), stabilitosi a Graz, cadde nella prima guerra mondiale assieme al fratello Adamo (1888-1914). Lorenzo (1880-1934) fondò a Innsbruck un ramo recentemente estinto, mentre Gino (1878-1947), anch'egli ufficiale, si dedicò assieme alla sorella Cecilia (1892-1978), sposata de Nipoti, al ristabilimento della famiglia duramente provata dalle vicende belliche. La famiglia fu propagata da Egone (1881-1943), che nel 1941 ebbe con i fratelli rimasti a Gorizia, nel frattempo inglobata nel Regno d'Italia, la conferma del titolo di conte. Attualmente la famiglia possiede il castello di San Floriano, centro di attività agrituristiche, la prestigiosa villa palladiana di Saciletto di Ruda, il Pal. settecentesco di Rigolato in Carnia, e il grande complesso del Museo della Civiltà Contadina del Friuli Imperiale ad Aiello del Friuli, ideato e diretto da Michele Formentini (C.S. a cura di A. Stasi). CS. vedi anche anno 1891.
ARMA: partito: nel primo d'argento a tre cinghiali, rivoltati, al naturale, l'uno sopra l'altro, quello di mezzo carico di un palo d'argento; nel secondo di rosso alla fascia d'argento.
CIMIERO: il volo di nero, carico di una fascia d'argento.
MOTTO: INIUSTIS PETITIONIBUS SURDA CLEMENTIA